Di: Stefano Secci e Rebecca Marchegiani

La collaborazione tra manga e moda si riconferma prolifica e vincente anche in questo 2020. Quello in essere è stato sicuramente un anno in cui la cultura giapponese e in generale quella orientale si sono dimostrate particolarmente influenti all’interno del fashion business. Tuttavia il fenomeno che oggi vede il massimo della sua realizzazione con collaborazioni e cambio di immaginario creativo verso uno scenario nipponico, affonda le proprie radici in uno storico molto più profondo di quanto si pensi. In modo particolare è la casa di moda Gucci che ha attirato a se le migliori progettazioni dei più importanti fumettisti giapponesi nel corso del tempo.
Iniziando con i disegni di Hirohiko Araki, che nel 2013 mise in scena una vera e propria mostra a Firenze con i personaggi delle sue saghe a fumetti completamente vestiti con la collezione che la maison italiana rilasciò all’epoca.

Continuando poi con la straordinaria idea di Eiichiro Oda, disegnatore della serie manga One Piece, il quale ha creato un lookbook ritraente i famosi personaggi del cartone animato indossando la collezione 2020 di Gucci “Fake/Not”, il connubio tra questi due mondi è risultato quantomeno evocativo di un lungo storico di partnership vincenti.

Oltre al colosso fiorentino, sono da citare anche altri importanti brand che hanno, negli anni appena trascorsi, contribuito a spostare l’asse terrestre della moda verso orizzonti asiatici. La curiosità interessante è che questi marchi coprono spesso tutto il ventaglio stilistico delle collezioni di menswear: dall’haute couture di Prada, passando per l’urban di Supreme, fino ad arrivare allo sportswear di Uniqlo.
Come, quindi, si può notare questa cultura ha un raggio di copertura che comprende i vari stili della moda, da brand di lusso fino ai più comuni fast fashion.
Chissà se fosse stato così anche senza il ruolo elitario che ancora (forse) ricopre la cultura streetwear

Tra le varie maison che hanno cavalcato l’onda, non si può non parlare di GCDS, il quale con prepotenza ne ha dato risalto come nessuno: esempio lampante ne sono le due collezione Spring/Summer 2019 e 2020 dove troviamo nella prima un accenno a questo mondo, giocando di più con i colori e con l’aspetto delle modelle che sfoggiano un’estetica sicuramente cartoon, per non parlare dello scandalo del terzo seno. Quest’anno Giuliano Calza ha puntato invece sulle stampe coprendo i capi di bamboline provocanti dai colori delicati ed angelici.


Come è stato anche accennato il 2018 fu un anno particolarmente prolifico per le collezioni ispirate agli anime e il 2020 sembra riportare in auge quest’ondata.
Non è un caso che nell’ultimo periodo due nomi che si collocano nella produzione di abbigliamento di massa spiccano per aver spinto su questo tema: Uniqlo e Bershka, con le loro capsule e collaborazioni principalmente basiche, ma che hanno riscosso molto successo.

Questa corrente vede però soggetti non solo brand più o meno conosciuti, è infatti interessante vedere come vi siano emergenti che abbiano trovato in questa, una valvola di sfogo per la loro creatività e la loro passione.


Ma perché allora proprio adesso questo forte ritorno di interesse verso la tradizione e la cultura orientale?
Sicuramente il cambio costante delle tendenze mondiali, oltre che la sperimentazione di nuovi immaginari creativi e verosimilmente ricerca di nuovi potenziali compratori, ha giocato un ruolo fondamentale in tutto questo. Tuttavia vogliamo portare all’attenzione un’altra recente scoperta che potrebbe rivelarsi uno dei fattori trainanti di questa forte apertura e globalizzazione: parliamo del fenomeno BTS. La boy band coreana sta, ormai sotto gli occhi di tutti, letteralmente dominando le classifiche globali, anche e soprattutto grazie al loro ultimo singolo Dynamite, il primo a essere completamente realizzato in lingua inglese. Il movimento k-pop non è sicuramente una novità, ma il modo in cui questi 7 ragazzi si sono imposti nel mercato globale va aldilà delle aspettative e le ragioni vanno ricercate in ciò che va oltre i meriti musicali. L’immaginario “cartone-animatesco” che traspare dai loro video musicali, dalle interviste rilasciate e dal loro modo di vestirsi, ha sicuramente portato sia una grossa fetta dei consumers a riavvicinarsi alla cultura asiatica, sia una serie di brand a ricercare un rinnovamento nel connubio già vincente con il mondo orientale, perfettamente rappresentato dai manga.
